20. Leadership: come si favorisce in un team? E se non c’è un leader cosa si fa?
Nella pallavolo si sente spesso dire non c’è il leader, oppure manca un leader.
Una definizione che mi piace tanto che c’è in Legacy (titolo originale del libro di James Kerr) è che “i leader creano i leader”, ovvero la mia capacità di responsabilizzare le persone le mette nell’ottica di rispettare le regole e di prendersi le responsabilità in campo. Quindi credo che a volte sia un po’ un alibi dire che non ci sono leader. Sicuramente ci sono giocatrici che hanno una predisposizione naturale ad assumersi la leadership, una leadership tecnica, o una leadership gestionale, però limitare l’autonomia delle persone sostenendo “tu fai quello che dico io” di certo non contribuisce a farne uscire di nuove. Nel gestire la palestra come la intendo io l’obiettivo è ambizioso: dare alle persone più autonomia e capacità di gestirsi affinchè possano sviluppare la leadership e possano esserci anche più leader in campo.
21. Che caratteristiche deve avere uno staff per farti sentire supportato? E tu cosa devi essere/ fare per loro?
C’è chi preferisce avere al proprio fianco persone uguali o simili a sé stesso e chi preferisce averle diverse. Io credo di essere uno che ha bisogno sempre di nuovi input, un collaboratore deve darmi stimoli. Mi hanno insegnato a fare così fin da quando ero piccolo, quindi è un’aspettativa che mi rendo conto di avere verso le persone che lavorano con me. Se accanto ho una persona che sostiene “per me le cose sono così, punto”, non è una persona con cui posso lavorare bene perché ogni volta che le chiederò come vede le cose, mi risponderà sempre allo stesso modo e non avrà mai un’idea diversa.
Mi piacciono le persone a cui non devo dire cosa fare, ma che anzi, mi propongono delle loro visioni e prospettive.
Mi piacciono le persone aperte al nuovo, proattive, intraprendenti. Mi rendo conto che queste sono aspettative che possono creare distanza tra me e lo staff qualora queste condizioni non si dovessero verificare.
Mi piacciono persone che si prendono la propria leadership. Così come me lo aspetto dalle mie giocatrici, me lo aspetto anche da coloro che lavorano con me. Anche se so che sono persone che sono destinato a perdere perché la gente che si comporta così diventa brava, diventa un ottimo allenatore. Tutte le persone con cui ho lavorato si sono dimostrate grandissimi allenatori, ho avuto la fortuna di aver imparato da gente così e poi di essere stato affiancato da allenatori altrettanto in gamba. Leali prima di tutto, e persone che non vivevano la palestra come il posto dove vengo lì a fare quello che tu dici, ma che hanno sempre portato un contributo di valore.
22. Quanto è importante dedicare del tempo ai colloqui con lo staff e con le giocatrici? E quali sono gli argomenti che tocchi?
È importante, ma è un lavoro che richiede tempo (“testuali parole: è importante, ma è un cacchio di lavoro!”) : briefing prima dell’allenamento, programmazione, monitoraggio, feedback… Io su questo creerei un metodo molto rigido nello scandire il programma settimanale. Ogni martedì lo dedico a questo, ogni giovedì a questo, ogni venerdì a questo in base a quante volte la settimana mi alleno. Qualcosa di molto strutturato. Su questo aspetto non puoi essere creativo, l’obiettivo è creare una connessione tra ciò che dici in riunione e ciò che fai in modo che ad ogni riunione corrisponda una reazione in campo.
Ad esempio quest’estate in Nazionale quello che riguarda le riunioni sarà molto codificato nella settimana. Il modo in cui ci andremo ad allenare sarà sempre diverso, ma l’impostazione di ciò che le ragazze andranno ad affrontare sarà dettagliata.
L’allenatore deve essere bravo a non mettere troppa carne al fuoco.
Nella gestione di un settore giovanile dove non si ha moltissimo tempo, credo che sia importante creare un modello settimanale in cui dedicare in modo chiaro i tempi sia allo staff, che alla squadra. Le tematiche delle riunioni si focalizzano tendenzialmente sugli obiettivi individuali delle atlete, e sugli obiettivi di squadra. Può diventare interessante dare come compito ad un membro dello staff lo studio di quella particolare situazione o argomento, considerando che poi va fatto il punto della situazione, e che anche questo va pianificato. Un‘ idea può essere quella di dedicare ogni allenamento ad un ruolo (martedì è il giorno dei palleggiatori, mercoledì dei centrali…) e in quell’allenamento organizzare il lavoro dando un’attenzione in più a quel ruolo e a quegli obiettivi. La struttura rigida è utile per riuscire a monitorare gli obiettivi, a dare feedback e ritarare il lavoro.
23. Come si tengono coinvolte, motivate e ingaggiate le atlete che giocano meno/ quelle che trovano meno spazio in campo?
Questa è una delle dinamiche che non dipende dalla categoria ma che si verifica sempre. Una delle cose che secondo me non funziona sono i contentini, e ti parla uno che è sempre stato in panchina, anche da giocatore. Se stiamo vincendo e mi fai entrare sul 23-15, allora non sei giusto. Se mi fai entrare è perché pensi che io possa cambiare qualcosa o perché mi dai la responsabilità in un momento vero, non perché gli altri non sono in grado. Questo non motiva chi sta in panchina, ci deve essere una fiducia vera e se non c’è, conviene non andare a forzarla.
Chi è in panchina va gestito con un’attenzione diretta, non devi delegare a nessuno con loro. Se con le titolari puoi delegare al tuo staff, con le riserve devi prenderti la responsabilità di stare con loro, perché questo sarebbe un segnale di poca attenzione verso di loro e di poco rispetto. Le titolari hanno già del tempo dedicato, quindi se c’è un extra time da fare con le riserve, ci sta il capo allenatore e nessun altro, stai con loro fino alla fine con una qualità e un’accuratezza specifica. Non perderei tempo a raccontare alla giocatrice che ho fiducia, perché non mi crederebbe dato che è solo entrando in campo che la potrà percepire davvero. Quindi attenzione massima e chiarezza.
24. Come si prepara mentalmente il team ad appuntamento importante?
Credo che la differenza la facciano sempre i punti di forza, quindi è importante arrivare alla gara con le idee chiare su quali siano. Da uno studio che abbiamo fatto abbiamo visto che le squadre vanno in difficoltà non quando vai a fare leva sui loro punti deboli, ma quando metti in crisi i loro punti di forza. Questo avvalora il fatto che di fronte ad una partita importante è necessario arrivare lì con i punti di forza che viaggiano a mille e convinto che i tuoi punti di forza possano mettere in difficoltà gli altri. Dall’altra parte dobbiamo mettere sul piatto anche quelle che sono le cose che magari non sono nelle nostre corde e che possono scivolarci addosso. Prima della finale contro Novara abbiamo fatto un lavoro insieme alla squadra in cui avevamo messo su un cartellone come ci valutavamo rispetto Novara. Le ragazze mettevano una “x” su quei fondamentali che erano secondo loro i nostri punti di forza (esempio: la battuta, la ricezione, l’attacco…), l’unico aspetto in cui la squadra si sentiva meno forte di Novara era il contrattacco.
La cosa buona che è accaduta dopo questo lavoro di consapevolezza è che durante la partita i punti di forza li abbiamo rispettati e il contrattacco, mentre prima era una cosa che ci pesava e che subivamo, è diventato quell’aspetto che “ok, se lo fanno bene, ci sta, noi intanto facciamo bene il nostro”. Avere chiarezza sulle cose che dobbiamo fare bene e quali sono quelle che possiamo permetterci di farci scivolare addosso, funziona.
Quindi non esiste l’errore buono e meno buono, esistono i nostri punti di forza e le cose che ci devono scivolare addosso, ovvero aspetti in cui dobbiamo essere molto efficaci e altri in cui se capita bene, altrimenti si va avanti.
25. Come analizzi la sconfitta con lo staff? E con il team?
Le analisi da quando perdiamo a quando vinciamo non cambiano così tanto, nel senso che c’è sempre una parte dello staff che studia noi, e una parte dello staff che studia gli altri. L’idea è quella di verificare attraverso le statistiche cosa ha funzionato bene dei nostri punti di forza, cosa è stato diverso dal solito, e cosa non ci aspettavamo. E da questo comprendere se ci sono state defezioni nostra o se è stato bravo l’avversario che cercando quella cosa lì ci ha messi in difficoltà. A questo punto valuto quali informazioni dare alla squadra. Non tante perchè se vuoi dare troppe spiegazioni in un processo cosi complesso rischi di andare oltre. Nell’analisi cerco sempre di vedere quanto sono stati bravi gli altri e quanto siamo stati mancanti noi. Credo che serva distacco dalle analisi delle sconfitte altrimenti si rischia di cercare le colpe. Quando perdi sembra che non vada bene niente, ma non è così. Bisogna selezionare le informazioni oggettive e scegliere quali comunicare alle squadra.
26. Cos’ è il talento per te e come può un allenatore aiutare i talenti ad emergere?
Il talento è una cosa che io chiamo “babbo e mamma”, è quello che ti viene dato. Il talento è tutto quello che ti viene facile sia da fare che da apprendere, è tutto quello che riusciamo a fare senza sforzo, poi per tirarlo fuori serve sforzo. Quel talento lì ce lo hanno in tanti, ma è il lavoro che lo fa emergere. Credo che il ruolo dell’allenatore non sia quello di sviluppare quel talento, ma di sviluppare la capacità di sfruttare quel talento. La nostra più grande sfida è quella: mettere le persone nella condizione di scoprire il talento. Molte volte partiamo con l’idea di aver già definito quel talento, di sapere già tutto, ma in realtà la prima cosa da fare per scoprire il talento è saperlo ascoltare: capire come vede le cose, come le percepisce, come le sente. E la cosa bella di noi allenatori è che dobbiamo trovare il modo giusto di fare le cose insieme a loro. Noi serviamo solo a dare spunto, non a creare modelli.
Le ragazze hanno già la pallavolo dentro, noi allenatori
non dobbiamo mettere dentro nulla, ma dobbiamo solo tirarla fuori e pulirla il più possibile.
Credo che il nostro ruolo come allenatori sia rispettare ogni forma di talento.
Un grandissimo grazie a Davide per gli spunti che ci ha messo a disposizione e l’umiltà con cui ha scelto di farlo.
Un grazie speciale agli allenatori che hanno contribuito
a realizzare questa intervista con curiosità e desiderio di migliorarsi.
Trovi qui la prima parte e qui la seconda parte dell’intervista.
Buona pallavolo.
Giulia Momoli Mental Coach
Bellissima intervista; una miniera di spunti da parte di una bella persona. Un’iniezione di fiducia nel genere umano. Grazie a Davide e a chi ha realizzato l’intervista
Grazie!