In questo spazio ho la meravigliosa opportunità di intervistare lo stimato collega Roberto Merli, ovvero il mental coach di Davide Mazzanti e delle Azzurre della Nazionale di pallavolo, recenti vincitrici della pesantissima medaglia d’argento al mondiale in Giappone 2018.
Le domande dell’intervista sono state selezionate tra le curiosità dei miei lettori della pagina Giulia Momoli- Mental Coach, che ringrazio nuovamente.
Roberto, oltre ad un mental coach di successo, è stato un atleta di serie A della Santàl Parma, è un grande studioso, è docente di scienze motorie, formatore, trainer di Programmazione Neuro Linguistica e allenatore di 3º grado di pallavolo.
Grazie Roberto per la tua disponibilità, e tantissimi complimenti!
Sono certa che i lettori apprezzeranno la possibilità di poter scoprire alcuni dei particolari che hanno permesso il raggiungimento di questo splendido risultato.
Risultato che arriva da anni di lavoro e che è stato meticolosamente preparato nei dettagli.
Anche dalla tua figura di Mental Coach.
- Innanzitutto, chi è Roberto Merli, qual è stato il tuo percorso di formazione e cosa ti ha permesso di arrivare a rivestire un ruolo tanto importante con la nostra Nazionale Femminile di pallavolo?
Sono nato a Parma nel 1963 e la mia grande passione per lo sport mi ha avvicinato all’ambiente sportivo fin da giovanissimo.
Lo sport mi ha dato insegnamenti che mi porto ancora oggi nella vita:
credere fortemente in se stessi, lo spirito di sacrificio per raggiungere i risultati, la tenacia, la grinta, la perseveranza, la voglia di non tirarsi mai indietro.
Tutte qualità che ho sviluppato negli anni di allenamento come giocatore (Santàl Parma) e che ho utilizzato nell’attività di allenatore sportivo che ho cominciato ad intraprendere quando avevo appena 22 anni, proseguendo gli studi che, ritenevo essenziali per una formazione completa, laureandomi in Scienze Motorie presso l’ateneo di Bologna.
Nei numerosi anni che ho svolto come allenatore, ho avuto modo di scoprire e sviluppare una capacità che faceva comunque già parte della mia “natura”: riuscire a vedere nei giocatori le loro potenzialità e aiutarli a svilupparle per dare il meglio di sé in campo.
Ma sentivo che mi mancava qualche competenza per poter aiutare i miei atleti a 360 gradi, e magicamente sono arrivati nella mia vita Livio Sgarbi e Alessandro Mora.
Proprio quello che stavo cercando!
Ho avuto il privilegio di formarmi con i migliori Trainer del settore, lavorare con atleti di livello assoluto e con varie multinazionali in ambiti differenti.
La mia attività di formatore è proseguita sia privatamente, organizzando e conducendo seminari a privati ed aziende, che presso strutture pubbliche in qualità di relatore.
Queste sono solo alcune delle “avventure” che mi hanno dato l’opportunità di maturare una lunga ed approfondita esperienza come coach specializzato in ambito sportivo e aziendale.
- Ti va di spiegare ai nostri lettori la differenza tra psicologo dello sport e mental coach, due figure professionali diverse tra le quali si fa ancora confusione?
Questo da sempre rappresenta un argomento delicato e oggetto di controverse discussioni imperniate sulla formazione professionale delle due figure e sui campi operativi di intervento.
“Una considerazione importante nel lavoro psicologico con gli atleti è che essi sono, in generale, persone fondamentalmente “sane”, con le quali è possibile effettuare un proficuo lavoro di sviluppo di abilità per affrontare con successo l’impegno agonistico. Gli atleti hanno bisogno di capacità fisico-motorie e psichiche sicuramente superiori a quelle di persone non praticanti sport, per rispondere adeguatamente a richieste che, soprattutto ad alto livello, arrivano al limite delle potenzialità umane.” (Robazza, Bortoli, Gramaccioni)
Da qui la prima grande differenza tra le due figure, il Coach sicuramente non si occupa di aspetti clinicamente patologici per i quali certamente non ha una formazione adeguata all’intervento e che viene necessariamente svolta dalla figura dello Psicologo.
Si possono verificare situazioni in cui gli atleti presentino problemi psichici profondi e processi palesemente patologici, di tipo nevrotico od anche psicotico che nulla hanno a che vedere con l’ambito sportivo. In questi casi, l’individuo necessità di un supporto qualificato (psicologo clinico, psichiatra od anche psicologo dello sport con adeguata formazione psicoterapeutica) che possa intervenire con gli strumenti opportuni.
L’aspetto più significativo relativo al coaching riguarda il fatto che molte abilità mentali efficaci volte al controllo dell’ansia e della concentrazione (pensieri positivi, frasi affermative, tecniche immaginative e di rilassamento, ecc.) vengono spesso acquisite dagli atleti per prove ed errori, attraverso anni di esperienza e senza un metodo alla base.
Il lavoro del coach ritengo consista nel dare un metodo, una struttura personalizzata per agevolare e anticipare i tempi di apprendimento di tali abilità, al fine di consentire una manifestazione anticipata delle potenzialità dei singoli e dei gruppi.
- Mazzanti, che tu segui da 4 anni, ha ricevuto consensi positivissimi.
Non solo per lo straordinario risultato, ma per il gruppo che ha saputo amalgamare e per la sua gestione, per il clima di complicità che trasudava tra lui, lo staff e le ragazze, per la gestione dei time-out, per la sua comunicazione durante le interviste.
Di lui colpiscono, l’equilibrio, le parole usate in modo curato, le frasi dette con grande energia volte a coinvolgere, a ricordare, a certificare; i time-out in silenzio affinché ogni atleta potesse ritrovare il suo centro.
Le frasi posate ma al contempo decise durante le interviste.
-Su che cosa vi siete principalmente focalizzati?
-Quali sono gli aspetti inerenti alla preparazione mentale ai quali prestare attenzione, da allenatore?
-Cosa è utile evitare di dire durante i time out e come invece ritieni sia indispensabile comunicare?
In 4 anni la nostra collaborazione ha spaziato veramente su tanti settori mixando tante skills e toccando tutti gli aspetti della performance (tecnico/tattico, fisico, mentale, programmatico, comunicativo ecc..).
Posso riassumere il tutto con un elemento centrale che ci ha guidato in tutto questo tempo.
“L’essere” è stato il punto centrale di tutti nostri obiettivi, partendo da questo punto abbiamo poi programmato le varie aree di intervento con lo scopo di acquisire in prima persona le competenze necessarie e poterle rendere fruibili a tutte le atlete.
La preparazione mentale prima e durante la gara, così come le cose utili o non utili da dire fanno parte del setting mentale che deve diventare il tuo modo di interagire con gli altri e non una tecnica da adottare ad hoc.
Parliamo di “Relazione” e non di comunicazione perché tutto si sviluppa sulla base di una relazione che si crea oppure no tra due individui.
All’interno di questa relazione si immergono tutti gli aspetti che conosciamo del coaching e mi riferisco alla capacità di indurre uno stato d’animo, di ristrutturazione di formulazione di obiettivi, di programmazione di percorsi individuali e di squadra ecc..
- Giocare un evento importante porta con sè dei rischi, perché ci sono tanti fattori che potrebbero togliere il focus dalla competizione stessa.
Le diverse trasferte, il pubblico, i social, le interviste, la tv e i giornali.
Un movimento che si risveglia appassionato e che segue i suoi beniamini/beniamine facendo davvero (per fortuna!) rumore.
I maschi che hanno disputato il mondiale in casa meriterebbero un approfondimento mirato. Qui parliamo della tua esperienza con le donne.
– Qual’è l’atteggiamento che deve tenere un allenatore al fine di “proteggere” il gruppo di atlete da fattori esterni (quali ad esempio critiche e polemiche) che potrebbero minare la serenità e il rendimento della squadra e/o delle singole atlete?
L’atteggiamento è sempre di presa di responsabilità nei confronti del mondo esterno per tutte le decisioni prese, le scelte tattiche e l’utilizzo delle varie atlete. Ogni singola atleta deve sentire che non esiste una valutazione della performance che possa far cambiare l’idea globale che il Coach ha delle sue potenzialità.
In tutti i casi la performance è solo un tassello di un percorso e non rappresenta mai un indicatore decisivo.
– E quale invece l’atteggiamento utile della singola giocatrice?
L’approccio utilizzato e allenato è proprio quello della visione dall’alto della time line, per avere la consapevolezza che il percorso è la vera guida e che alti e bassi sono fisiologici.
- Le ragazze, anche durante la finale, sorridevano. I loro occhi durante tutta la competizione mondiale erano rivolti al di là della rete fissi e determinati. Decisamente erano preparate e sapevano come fare a mantenere quello stato interiore.
Durante le interviste le ho sentite spesso dire “Ci siamo preparate tanto… abbiamo lavorato sodo per questo appuntamento”.
Sono certa che lo abbiate fatto da un punto di vista tecnico, fisico, tattico, ma grazie al tuo apporto, anche mentale.
– Come le hai supportate da mental coach? Come hai lavorato per aiutarle a rimanere concentrate e serene in una competizione così lunga come quella mondiale? Come le hai guidate a gestire la pressione che un campionato del mondo inevitabilmente porta con sè partita dopo partita?
Abbiamo lavorato con sessioni individuali di coaching con una parte del gruppo.
Gli obiettivi erano proprio la gestione degli stati d’animo e il lavoro di imagering finalizzato al servizio e la ricezione.
Con il gruppo invece sono stati affrontati argomenti tipici del team building, come comprendere le differenze e utilizzarle come una risorsa, comunicare in gruppo in modo efficace, avere una visione d’insieme del progetto, conoscere alla perfezione il proprio ruolo all’interno del gruppo.
- Hai seguito i mondiali da casa: in che modo sei stato di supporto al team?
Attraverso la tecnologia oggi è possibile fare anche questo. Whatsapp fa miracoli, attraverso messaggi e videochiamate.
- “Vincere aiuta a vincere”: cosa ne pensi di questa frase?
E´ assolutamente la verità, non ho ancora incontrato un gruppo che perde sempre ma con una grande “Mentalità Vincente”. Devo però osservare anche l’altra faccia della medaglia, i risultati a volte coprono alcuni aspetti da migliorare e ne sminuiscono l’importanza. Si corre il rischio di non proseguire un percorso di crescita solo perché sono arrivati risultati.
- Quanto vale per te questo argento? Cosa racconta del mental coaching?
Per me rappresenta un indicatore molto importante del lavoro che si può svolgere all’interno del mondo dello sport dal punto di vista mentale.
Abbiamo ancora tanta strada da fare per riuscire ad avere un approccio sistematico, riconosciuto e specifico.
Rispetto a quando ho iniziato le cose sono migliorate ma in generale il mondo dello sport non è ancora del tutto pronto alla gestione di questo aspetto della performance.
Pazienza… pazienza.
E le competenze di grandi professionisti come te, aggiungo io.
Grazie Roberto, grazie Azzurre.
Giulia Momoli
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